Il miglio verde

Oggi voglio continuare a parlare di Stephen King e di quello che, secondo il mio modesto parere, è uno dei suoi romanzi più belli: Il miglio verde.

2014-08-31 02.18.17Ma comincio dal titolo: “Che cos’è il miglio verde?” Nelle carceri l’ultimo tratto che conduce alla sedia elettrica è chiamato “l”ultimo miglio” e, in questo caso, l’aggettivo “verde” richiama il colore del pavimento del carcere di Cold Mountain, teatro dei fatti narrati.

Pubblicato nel 1996, il libro racconta la storia dell’ex guardia carceraria Paul Edgecomb, sul quale incombe il peso della morte di un innocente.

Il miglio verde comincia con i dolorosi ricordi del periodo in cui l’uomo lavorava nel braccio della morte del penitenziario di Cold Mountain, e in particolare dell’estate del 1935, anno in cui il destino portò nelle sue celle John Coffey, un “gigante” di colore accusato di aver stuprato e ucciso due bambine. Quel “mostro” che tutti volevano sulla sedia elettrica si rivelò però diverso da ciò che sembrava. Coffey aveva infatti l’innocenza e la fragilità di un bambino, e celava dentro di sé un dono miracoloso che era per lui , al tempo stesso, fonte di gioia e dannazione.

Non ne posso più del dolore che sento e vedo, capo. Non ne posso più di vivere in strada, solo come un pettirosso sotto la pioggia. Mai un amico da andarci assieme, un amico che mi dice da dove veniamo e dove stiamo andando e perché. Non ne posso più della gente cattiva che si fa del male. Per me è come cocci di vetro piantati nella testa. Non ne posso più di tutte le volte che ho voluto rimediare e non ho potuto. Non ne posso più di stare al buio. Soprattutto è il dolore. Ce n’è troppo. Se potessi smettere di sentirlo, lo farei. Ma non posso.

I testimoni di questo miracolo vivente saranno proprio Edgecomb, i suoi colleghi e i detenuti del braccio della morte. E sarà lo stesso Paul, dopo aver visto gli effetti dei poteri di Coffey sulla sua persona e indagando sull’omicidio delle piccole, a capire che quel “gigante” è in realtà innocente.

Lui le ha uccise con il loro amore perché si volevano bene. Adesso hai visto com’è. È così che va tutti i giorni, è così che va in ogni parte del mondo.

Ormai, però, è troppo tardi per salvare Coffey dalla sedia elettrica. Consapevole di aver “ucciso” un innocente, dopo l’esecuzione Paul lascerà il suo lavoro al penitenziario e da quell’afosa estate del 1935, la sua vita non sarà mai più la stessa.

Il tempo si prende tutto, che tu lo voglia o no. Il tempo si prende tutto, il tempo lo porta via, e alla fine c’è solo oscurità. Talvolta incontriamo altri in quella oscurità e talvolta li perdiamo di nuovo là dentro.

Dal romanzo di Stephen King, in origine pubblicato mensilmente, in sei volumi, secondo una tradizione che ricorda molto i racconti di Charles Dickens, è stato tratto l’omonimo film del 1999, diretto dal regista Frank Darabont.

Nella versione cinematografica il ruolo di Edgecombe è magistralmente interpretato da Tom Hanks, mentre il “gigante” John Coffey ha il volto Michael Clarke Duncan, attore prematuramente scomparso nel 2012, a 54 anni.

King ha un modo di scrivere che ti porta dritto nel suo mondo, e pensare a un film tratto da un suo libro mi lasciava un po’ perplessa, soprattutto perché di solito i film tratti da libri che ho letto mi hanno sempre deluso in quanto difficilmente rispettavano la trama originaria.
In questo caso però, pur con i dovuti adattamenti, il film segue passo dopo passo la scrittura di Stephen King, rimanendo fedele al senso profondo del romanzo.

Un pensiero su “Il miglio verde

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